martedì 31 dicembre 2013

Riti tradizionali dei tardotrentenni: l'addio al celibato


Addio al celibato. Barcellona. 8 uomini e un weekend.

Arrivo all'aeroporto in autostop e senza bagaglio a mano, si fa il dritto di 48 ore.  Tapas come se dal giorno dopo iniziasse la guerra; chupitos in sequenza, il chupitero ad un certo punto ci fa accomodare dietro il bancone e ce li prepariamo da soli; Raval alcolico per aspettare le 3 e poi Razzmatazz sino all'alba. Finisce con alcuni che ballano a torso nudo sui cubi e gli altri che fanno la ola intorno. Dritti alla Barceloneta per la colazione con patate fritte e birra, pennicchella sulla spiaggia fino all'aereo del rientro.
Questo è quello che abbiamo raccontato.

Questa, invece, è la verità.
Arrivo in ordine sparso all'aeroporto, accompagnati dalle compagne e da bimbi da baciare con l'occhio umido, il nostro. Uno dei partenti ha la febbre ed è imbottito come l'omino della Michelin, anche se è maggio. Litighiamo all'imbarco per le dimensioni del bagaglio. Riusciamo a far desistere le hostess della Ryan Air. In taxi sino all'hotel prenotato ancora prima dell'aereo, e sotto le 3 stelle no, perché sull'igiene e la pulizia niente compromessi. Ci si vede alle 8 per uscire. Nella hall alle 8.30 non c'è nessuno, qualcuno litiga per i tempi lunghi in bagno, qualcun altro dorme perché è già un po' stanco. Tapas, ma con moderazione. Non avete qualcosa di più leggero? Tutto questo baccalà fritto, poi finisce che non dormo bene. Il chupitero ci allontana, deprimiamo il resto della clientela se continuiamo a chiedere chupitos analcolici. Al Raval no, perché ho visto un documentario e dice che è pericoloso. Aspettiamo allora mezzanotte in plaça Catalunya scambiando messaggini con le metà rimaste a casa e poi via al Razzmatazz, tanto ci faranno entrare, no? Cerchiamo subito la sala più adatta a noi: quella tecno no, c'è troppo rumore; quella commerciale nemmeno, c'è troppo fumo; quella anni '80 è perfetta, ci sono dei divanetti comodissimi e la musica non è tanto alta. In realtà è il bar della discoteca. Facciamo le 3 mostrandoci foto sul cellulare e parlando di malattie infantili. Quello single, per riservatezza non dirò chi è, ci prova con una bionda. Queste straniere ci stanno subito. Si scopre invece che è di Milano e ci sta di brutto, con un tizio di Bordeaux però. Alle 3 e mezza tornano in hotel in sei, si è fatta una certa e domani bisogna affrontare il viaggio di ritorno. In due ordiniamo un redbull e vodka e rilanciamo: si fa chiusura. Perché redbull e vodka ti carica. La carica tuttavia dura giusto 30 secondi, sino al momento di pagare. Ma cazzo, costa 10 euro un vodka e redbull? ai miei tempi costava cinquemila lire! Alle 6 guardiamo l'alba al porto olimpico, alle 6 e 15 ci rubano il cellulare sulla metropolitana, alle 6.30 arriviamo in hotel dove troviamo la polizia, chiamata dagli altri perché non ci hanno visto rientrare ed erano preoccupati. Alle 6.50 andiamo al pronto soccorso perché quello con la febbre dice di sentirsi male, ha la netta impressione di avere un attacco cardiaco. Lo riportiamo indietro a spalle, imbottito di psicofarmaci da dottori spazientiti dagli ipocondriaci. Alle 9 siamo alla Sagrada Familia perché non si può venire a Barcellona e non visitarla. Apre alle 10 ma c'è una fila tale, come? non avete prenotato online?, che decidiamo di andare direttamente all'aeroporto per non correre rischi. La giornata svolta perché scopriamo che a El Prat ci sono 15 minuti di wifi gratuito e ne approfittiamo per aggiornare gli status di facebook. 

Torniamo a casa, sentendoci eroi. 
Dai, l'anno prossimo lo rifacciamo anche senza addio al celibato, ci diciamo mentendoci.

sabato 28 dicembre 2013

Chi vince e chi perde


Si gioca su più tavoli.

Nel primo una Guinnes Extra Stout, una Franziskaner Hefe Weisse, una Tennent's Scotch Ale e una Harp Lager separano ventagli di cinque carte e sguardi torvi. Nel secondo una Spezi e una Hacker-Pschorr Gold a caduta libera e bassa fermentazione si lanciano sguardi di sottecchi, tenendosi a distanza.

Apro, dice Tennent's, e tutti lo seguono immediatamente. 
Spezi si raggomitola sulla sedia, le lunghe dita tentacolari e smaltate piantate sul tavolino.

Tennent's ne cambia solo una, Harp tutte. 
Spezi si inclina in avanti, gli occhioni nocciola spalancati e fissi su di lui, Hacker-Pschorr impettito ha la tempia rigata da un rivolo di sudore.

Franziskaner vede e rilancia, Guinnes lascia, Harp tentenna, distratto dall'altro tavolo.
Spezi riprende la fisamornica, ginocchia tirate al mento, si tocca i riccioli biondi con la destra. Hacker gesticola e si infervora, racconta con passione.

Franziskaner analizza ad alta voce: primo appuntamento, massimo il secondo, si vede dalla prossemica, non si toccano. Harp apre agli scenari futuri: in ogni caso, sono trentenni ma abitano con mamma e papà, se anche fosse dove vanno, al parcheggio del campo sportivo? 
Prima che io abbia finito questa Guinness, i piccioncini avranno concluso la trattativa, 50 euro, è la sentenza del silenzioso Extra Stout.

A labbra socchiuse Spezi ascolta, ridacchia a intermittenza, Hacker prende il cellulare. E' finita, dice Harp, se uno prende il cellulare al primo appuntamento merita di essere scaricato, 50 euro che tra un po' lei prende il suo e si mette a messaggiare qualcuno. Ma lei ne vuole, si vede, puntualizza, Tennents. 
Spezi si sposta dallo sgabello sullo panca, di fianco a Hacker. 
50 euro che questi limonano davanti a casa di lei, rilancia Franziskaner, li seguiamo all'uscita.

Hacker le mostra delle foto sul cellulare. Spezi si apre in un sorriso e distratta poggia la testa sulla sua spalla. Nel dubbio gattini, è la vecchia tattica – commenta Tennents – si baciano all'uscita del locale prima di arrivare in auto. Sì, però lei ha davvero delle scarpe orrende, appena lui se ne accorge la molla, cerca di autoconsolarsi Harp. Nessuno ha mai fatto caso alle scarpe di una donna, figuriamoci – riporta tutti alla realtà Guinness e gli altri annuiscono in silenzio.

Hacker le mostra le foto della vacanza in Salento, lei risponde con un grattino, lui per caso le tocca la mano. Eh no, cazzo, il Salento no – con un urlo strozzato Harp – questo tizio è la fiera dell'ovvio. Tranquillo, ora le guarda le scarpe e la molla, lo irride Tennent's. Oh, guardate quella coppia al banco - cerca di deviare l'attenzione Franziskaner. Guinness richiama tutti all'ordine con un colpo di tosse. Gli sguardi si abbassano, si estraggono i portafogli. Banconote calano sul tavolo di legno scuro, va giù l'ultimo sorso di Guinness. Sotto il piccolo albero di Natale sulla mensola nell'angolo Spezi e Hacker furiosamente si scambiano saliva e morsi.

Raccolta la vincita si avvia verso l'uscita, non senza aver strizzato l'occhio ad Hacker che bacia e scruta il locale (Cazzo, bacia pure ad occhi aperti – in sottofondo l'urlo disperato e sprezzante di Harp).


50 euro che tra 5 minuti lui si ordina una Peroni e le chiede di stare zitta, ché vuole vedere come finisce la partita, riapre Tennent's. Spezi soddisfatta si guarda intorno.

venerdì 27 dicembre 2013

Caffè e senso di colpa


Le sette del mattino di un lavorativo lunedì, abusivo tra Natale e Capodanno. C'è nebbia dalla quale spuntano i rami spogli dei noccioli e i fanali dei camion diretti a nord. Lulù e Coccobill, un barboncino decaduto e un incrocio non districabile, si ringhiano vicendevolmente per gli avanzi di lasagna. Vince Lulù, ad ogni modo.

Isolato lungo la strada provinciale sta il bar Oasi Verde, proprio di fronte al cimitero. Voci confuse che si sovrappongono ti accolgono già dal parcheggio, auto degli anni '80 sfidano la fisica per conquistarsi un posto. Fuori il campo da bocce di ordinanza e i tavolini del tressette. Altre voci si sovrappongono, sono di qualche anno fa, dei tempi dei primi cellulari, quando da quello di mio padre partivano involontarie chiamate nei momenti chiave delle partite. Le prime volte mettevo giù sacramentando, poi, col tempo, ho iniziato ad appassionarmi. E a me quell'Ernesto con tutti i suoi assi non me l'ha mai raccontata giusta. Sul retro il campo di calcetto in terra battuta, teatro delle prime edizioni del “Torneo Paesano”, l'occasione annuale durante la quale si regolavano conti e si stabilivano gerarchie per l'anno a venire. Una gabbia circondata da tutti i lati da una rete, compreso l'alto; entravi sapendo quello che ti aspettava.

Anche dentro al bar c'è nebbia, o almeno così mi sembra. Pesanti giubbini blu e cappelli di lana calcati sulla testa si addensano al bancone. Un caffè alla nocciola, chiedo quando finalmente riesco a intrufolarmi. Rigorosamente in vetro e a duecento gradi. Tutti bevono d'un fiato; io, vergognandomi, aspetto un po' che si raffreddi. Ah, che bellu café, sule a Napule o sanne fa'. Ma pure a Montoro non scherzano.


Quando esco respiro a pieni polmoni l'aria pungente del mattino e il profumo dei caffè bevuti dagli altri. Sorridono tutti, sorrido per contagio. A questo punto mi sentirei pronto anch'io per andare a lavorare in un abusivo lunedì lavorativo tra Natale e Capodanno, probabilmente in nero e sottopagato. E invece aspetto che una Ritmo parta sgommando e mi allontano verso casa, colpevolmente in ferie pagate.

mercoledì 25 dicembre 2013

L'odore del Natale


Tutto inizia al mattino della vigilia, prima ancora della sveglia. Ogni anno è così, lo sai per esperienza, ma non serve a niente anche se ti sei barricato in camera. Non ti proteggeranno convenzioni internazionali e non sono previsti ispettori, né d'altra parte servirebbero. Niente è nascosto, tutto è palese e previsto. E' il temuto capitone. Si insinua sotto la porta, ti raggiunge nella fase più delicata del sonno. L'ultima, la più preziosa. Quella nella quale recuperi, di anno in anno sempre meno, i 700 chilometri fatti il giorno prima e arrivare a notte inoltrata. Ti coglie tra veglia e sonno, istilla incubi striscianti e maleodoranti.

Non servirà spalancare il balcone nel freddo dicembrino. Non servirà la doccia prolungata. Non servirà il caffè amaro per eliminare dalla bocca il sapore dolciastro dei tranci che sfrigolano. Anzi, peggio. I biscotti, porosi, ne sono intrisi. La ceramica delle tazzine è unta dal grasso che nell'aria si diffonde. Perfino l'acqua, se portata all'ufficio competente, comporterebbe l'arresto immediato della genitrice per indotto avvelenamento da colesterolo.

E allora vai al bar. Sperando che la fuga ti porti a luoghi incontaminati. Lì incontri gli amici. Altri reduci come te. Con occhiaie da sonno disturbato. Capelli unti. Sguardo colpevole di chi sa di portarsi dietro l'aereo stigma. Si cerca di sdrammatizzare parlandone. Oggi insalata di rinforzo, con extra cavoli – dico a uno, annusandone l'afrore. Sì, a noi il capitone non piace, mi risponde. Da noi soprattutto baccalà, autodenuncia il barista. Ci scambiamo auguri, strette di mano, odori di cui siamo profondamente intrisi.


Le auto partono sgommando verso direzioni opposte, ognuno si avvia al proprio destino ipercalorico.
A me il capitone neanche piace.

mercoledì 18 dicembre 2013

Passato, presente e futuro

Accovacciata sui gradini, con le gambe piegate, le ginocchia che si toccano a ics. In mano un evidenziatore, sottolinea furiosamente. I capelli lunghi e neri scivolano sulle spalle, si fondono con le fotocopie. Mi accorgo di lei al primo passaggio. Pochi passi e sono già di ritorno. Sbircio. E poi ripasso ancora. E ancora. Guardo distrattamente un punto vicino, fingo una dimenticanza giustificata da un borbottio. Scrivo subito a Lei: ho visto una in biblioteca, sembravi tu 15 anni fa, eri bellissima. Aspetto un sorriso, mi risponde con un vaffa.


E' sera, passeggiamo sotto i portici, le luminarie in festa. Nell'aria le caldarroste, il freddo mitigato dalla mano che stringe la mia. Nel mercato vecchio le pescherie preparano la chiusura con detersivi strabordanti, le mamme trascinano bambini appiccicati alle vetrine dei dolci, i fruttivendoli espongono cesti colmi e colorati. E lì vedo lei, va per gli ottanta. Il passo malfermo ma elegante. L'amore per i cappelli di feltro a tesa larga e la mano curata che si muove veloce. Con voce squillante, leggermente nasale, intrattiene l'anziano commesso ammaliato dagli occhi profondi. Vedi, dico alla mano che stringe la mia, tu sarai così, si capisce già. E io resterò sempre rapito dai tuoi occhi, mi piacerebbe aggiungere. Ma Lei è già andata via, il calore di uno schiaffo sulla guancia.

Allora torno a casa. Confuso dal presente, cercando di dimenticare il passato, senza pensare al futuro.

domenica 1 dicembre 2013

Ombre rosse intermittenti



Sera di inverno. Esco dal lavoro. L'aria fredda brucia.
Cappello di lana calcato sulla testa, guanti, quadruplo strato sul petto – maglia-di-lana, camicia, maglione e giubbotto da sci – pigiama sotto il jeans, calzettoni di lana grossa.

Pedalo con fatica tra gli alberi poco illuminati di via Barontini. Le  auto parcheggiate restringono la carreggiata, quelle frettolose mi sfiorano e sfanalano. Gli occhiali si appannano per il sudore. Un'ombra lontana attraversa via Paolo Fabbri. Un cancello automatico si chiude rumorosamente.

Piego a destra e mi immetto sul rettilineo di via Bentivogli. Largo, lungo e ben illuminato. Termina con una leggera salita. Mi alzo sui pedali e supero le auto ferme al semaforo. Al verde sento uno scampanellio dietro di me, accelero infastidito e imbocco via Albertoni.

In via Pizzardi inizia un dedalo di stradine a pianta ortogonale, strette e alberate, malamente illuminate dalle vetrine di negozi in chiusura. La ciclabile, ricavata sul marciapiede, tira dritto sino a via Azzurra. Pedalo arrossato per la fatica e per il freddo. Poco dopo il semaforo di via Palagi, una folata di vento mi supera sfiorandomi, attraverso le lenti appannate vedo il fanalino posteriore di una bici che velocemente si rimpiccolisce. Un cane latra lontano.

All'incrocio con via Rocchi una bici da corsa nera attraversa la strada. Lo spilungone che la monta si volta per un attimo a guardarmi, vedo solo la luce intermittente che ha sul caschetto. All'altezza della casa di riposo si sentono voci dalle finestre del primo piano. Quando ci passo vicino, per una attimo si zittiscono. Una portiera sbatte.

Nel parco dell'arcobaleno la ciclabile diventa una tortuosa serpentina tra frasche buie che affronto a testa bassa. All'ultima curva una bici contromano mi schiva all'ultimo e si allontana. Sento nell'aria il profumo di rose e la mia inquietudine.

Un sospiro di sollievo in via Vetulonia. Il marciapiede è largo, ben illuminato e ci sono nonni con la spesa che affrettano il passo verso casa. Manca solo il parco di via Misa, un saliscendi stretto e frequentato solo da cani che portano padroni a respirare prima di cena. Questa sera non c'è nessuno. Dall'appartamento del terzo piano sento i titoli del tg3.

Subito dopo lo strappetto in salita e poco prima della deviazione a destra, all'altezza del tiglio principale, vedo luci che velocemente si avvicinano. Una gialla, fissa, ed una rossa lampeggiante più in alto. Nell'attimo in cui mi affianca sento uno scampanellio. Scompaiono alle mie spalle.

Accelero affannosamente, ormai manca poco. Lungo viale Lenin sento odore di rose. Imbocco l'ultima ciclabile, casa mia sullo sfondo.L'ultimo capofamiglia in ritardo si infila in un portone. Casa mia è sullo sfondo. Evito una palla abbandonata e schivo il tombino sopraelevato.

Mi rifugio ormai a corto di fiato sotto il portico di casa mia, il deposito delle bici è ad un passo.

La porta è aperta; la luce, accesa. Sudo. Le lenti appannate e inservibili. Lascio la bici ed entro a piedi. Sul muro bianco si riflette a intermittenza un'ombra rossa, nell'aria sento pipì di cane e profumo di rose. Si volta e mi mostra i denti. 'Buonasera', mi dice. In una mano il mazzo di rose, nell'altra il caschetto illuminante. Mi aggira e se ne va.

E' quello del secondo piano. Ha parcheggiato nell'ultimo posto disponibile della rastrelliera. Anche oggi mi tocca lasciare la bici attaccata al palo in strada. Me la ruberanno.