domenica 30 marzo 2014

La metamorfosi




Destandosi un mattino da sogni inquieti si trovò trasformato nel suo letto in un'enorme puntina ricoperta di crauti. Se ne stava sulla schiena, dura come un osso, e sollevando un po’ la testa scorse il suo ventre arcuato, grasso, in cima a cui la coperta del letto ormai prossima a scivolar giù tutta, si manteneva a fatica. Le mani annaspavano senza tregua, proprio sotto il suo sguardo, alla ricerca della bottiglietta d'acqua sul comodino.

L'aveva conosciuta per caso una settimana prima al cinema d'essa. A causa di un appuntamento saltato all'ultimo lui imprecava sotto il portico quando all'improvviso era iniziato a piovere. Impossibile tornare a casa in bici. Nel cinema di fronte davano un film francese degli anni '30 in lingua originale. Non sapeva il francese, ma c'erano i sottotitoli, diceva il manifesto, in ogni caso sarebbe stato al caldo e magari ci scappava un sonnellino.

Seduti nella stessa fila si erano guardati. E poi di nuovo all'uscita. E poi un'altra volta in centro alcuni giorni dopo. Le aveva offerta un caffè, in cambio aveva ricevuto un numero di telefono. Interrompendo le sue parole ad un certo punto l'aveva invitata a cena.

Era sofisticata, così gli sembrava, e lui voleva far colpo. Meritava il suo piatto forte, quello che gli amici andavano via in lacrime quando li invitava: le puntine con i crauti. Mezzo chilo di puntine e mezzo chilo di crauti, una cipolla, un pomodoro, un po' di vino rosso e odori vari (il timo soprattutto, che profumo!).

Dopo aver massaggiato con sale e pepe la carne, l'aveva lasciata a bagno nel vino. Nel frattempo aveva ripulito casa, o almeno quello che si vedeva. Rosolata la cipolla a fuoco basso, aggiunti i crauti e il brodo per la prima fase di cottura, aveva ricevuto un messaggio da lei. Diceva che non vedeva l'ora ed aveva una fame! Aveva quindi deciso di mettere a posto anche la camera da letto. Si sa mai.

Rosolate le puntine le aveva aggiunte ai crauti insieme al timo e ai pomodori, ma si è ricordato che gli mancava la birra. Quella giusta era la 7 luppoli non filtrata del supermercato di fronte. La birra delle grandi occasioni. Fuoco basso ed era corso a comprala.

Nell'aria c'era il profumo intenso ed ipnotico dei crauti, le patate lesse di contorno pronte in tavola, la birra in freezer. Era corso alla porta appena lei aveva citofonato e lì l'aveva aspettata.

Una volta a tavola l'aveva scoperta vegana, e astemia. Però le piacevano le patate. Di conseguenza avevano diviso la cena, a lei i tuberi e a lui tutte le puntine con i crauti. Al secondo bis e alla terza birra aveva iniziato a perdere lucidità. Lei stava parlando di un film in uscita, un capolavoro restaurato del cinema giapponese, che avrebbero potuto guardare insieme. Le cose purtroppo non migliorarono dopo i digestivi, un nocino fatto in casa profumato e alcolico. Alla richiesta di lei, se gli piacesse il teatro, aveva risposto sì, ma con un rutto involontario.

Si salutarono poco dopo, lei sembrava fredda. Ti chiamo io, disse voltandosi.
Lui raggiunse a fatica la camera in fondo al corridoio, la vista annebbiata, la bocca impastata.

Si accasciò sul letto.

E si addormentò.



giovedì 27 marzo 2014

Ll'ombra


Pure quanno m’addormo te penzo
pecché dormo liggiero liggiero
pe’ chissà te venesse ‘o penziero
‘e te sosere e correre ccà.

L’ata notte in’ ‘o mmeglio d’ ‘o suonno
cu no zumpo me songo scetato:
me truvavo cu ttico abbracciato.
Era n’ombra… e che vuo’ cchiù durmì!

Ma chell’ombre ca pàreno ‘o vero,
ca se mòveno e fanno remmore,
ca respirano e siente ‘o calore
‘e nu sciato ca sciata pe’ tte,

ca respirano e appannan’ ‘e llastre
ca po’ restano overo appannàte.
Comme a dinto ‘a nu cunto d’ ‘e ffate
tu te ncante e te miette a parlà.

“Sei venuta?” “E tu nun me vulive?”
“Neh, guardate! Mò nun te vulevo!
Sulamente ca nun ‘o ssapevo
ca sarisse venuta addu me.”

“E… te siente nu poco sperduto?”
“Nun me sento nè nterra né ncielo”…
Tutto nzieme è scennuto nu velo
e te sento sultanto parlà.

“Damm’ ‘a mano” e tu ‘a mano me daie,
e restammo accussì dint’ ‘o scuro.
Cchiù t’astregno cchiù songo sicuro
ca stu velo cchiù fitto se fa.

“Isabè”, ma tu non me rispunne.
“Isabella!”, e nun sento cchiù ‘a voce,
ma te sento cchiù viva e cchiù doce
quanno ll’ombra t’ ‘a chiamme addu te.


Questa l'ha scritta Eduardo De Filippo. 
A tutti i costi voleva essere presente su storieadunpassodallesserevere.
L'ho accontentato.


domenica 23 marzo 2014

La barista

'Una Goudy Stout", ad alta voce con aria di sfida. "Ancora qui?", minacciò l'altro dalle cucine. Lei arrossendo lo servì.


Microstoria nata da un gioco lanciato da Writers and readers (a proposito, sono proprio bravi, se siete a Milano fate un salto ai loro incontri!): "E se i font fossero personaggi e avessero un loro carattere, una loro personalità?
Prova a raccontarli con noi usando hashtag #raccontifont".

mercoledì 19 marzo 2014

#NonDiteloAiGrandi: Alabarde spaziali



Seduto, dall'alto domino una cucina al sesto piano di un palazzo in periferia. Dalla finestra si vede il mare, ma non mi importa. Lei armeggia intorno ai fuochi. Brontolo.

Sul tavolo, di sfuggita, vedo lo sguardo accigliato di Actarus che spunta dal casco giallo, dietro incombe Re Vega. Lo capisci subito che è il cattivo, ma tanto alla fine perde. E' bello quando perde. Mi piace sentire come perde. Mi piace essere rassicurato sulla sua sconfitta, ancora e ancora.

Lei è sempre più indaffarata. Cerca di lavare delle stoviglie, ma intanto dal pentolino l'acqua schiumosa trabocca. Protesta sottovoce. Mi lamento anch'io, “Fame”. “Fame”, dico ancora per ribadire. Che poi non è neanche tanto vero. Perché quando alla fine mi presenta davanti il piatto di ceramica bianca pieno fino all'orlo di pennette al pomodoro, il mio pensiero si è già spostato a Goldrake che dal tavolo sembra spiccare il volo per venire da me.

“No, io mangio – le dico mentre tenta di imboccarmi – tu leggi”.
“Va bene, solo un po', tu mangia in fretta”.
Le strappo la forchetta e aspetto. E allora? Leggi?
Finalmente si decide, prende l'albo sgualcito e con le orecchie e inizia a sfogliarlo. Inizia a leggere a metà, c'è Venusia che dice qualcosa ad Alcor in fattoria.
“No”, le dico. Esigo la storia dall'inizio.

Mi racconta di queste astronavi di Vega che partono dalla Luna verso Tokio. Sono cattivissime. Raggi laser ed esplosioni. Ma poi Actarus diventa Goldrake e con l'alabarda spaziale le fa fuori tutte. Mi piace, lo sottolineo con uno schizzo di pomodoro che le finisce sul colletto anni '70. Si indispettisce e fa per chiudere il fumetto.

“No”, e sbatto la forchetta nel piatto. Altri schizzi, questa volta sul pavimento bianco con ghirigori arancio.
“Dai, mangia”, mi dice dolce.
“Leggi, ancora”, rilancio.
Sospira. Preoccupata inizia a guardare l'orologio alla parete.
Finge, lo so benissimo. Ostinato tengo la posizione. “Leggi”.

Apre di nuovo distrattamente l'albo e mi racconta di Hydargos e del nuovo mostro pronto ad essere lanciato contro il centro spaziale di Procton. Inizia il combattimento, “molti si fanno la bua” – mi dice - “poi però arriva Goldrake e sconfigge tutti”, taglia corto e mi guarda speranzosa.
La guardo anch'io, non temo il confronto. “Leggi bene”, le dico agitando la forchetta.
“Ho letto, Goldrake vince”.
“Non così”. Ho sentito quella storia decine di volte, so benissimo lo svolgimento. Chi crede di fregare? Neanche un bambino di tre anni ci casca.

Mi guarda implorandomi. Alla fine si decide. E mi legge tutta la storia sino all'ultima pagina. Di Alcor che interviene con il suo disco volante, delle battute di Rigel, dell'intervento risolutivo di Actarus (ora sì) e del mesto ritorno dei cattivi sulla Luna. Seguo il racconto passo per passo, emozionandomi, spaventadomi e tirando alla fine un sospiro di sollievo.

Ogni volta, nel ripetersi, la storia è sempre nuova e più bella. E nel riconoscerla, proprio perché la riconosco, mi emoziona e mi piace sempre di più.

La gratifico con un sorriso e un altro paio di bocconi, senza sporcare.
Mi sorride di rimando, mi pulisce alla meno peggio e mi mette giù.
Le ho fatto fare tardi anche oggi, ora farà i salti mortali per arrivare al lavoro in tempo.
Ma non sembra importarle così tanto.



p.s.: Questo post è ispirato da #nonditeloaigrandi, il progetto di racconto collettivo della Rete per promuovere le buone letture, legato alla Settimana del Libro e della cultura per ragazzi (sabato 22 - giovedì 27 marzo 2014). Potete partecipare anche voi, trovate le modalità qui.

martedì 18 marzo 2014

Her o 'Errore: impossibile eliminare il file Cache32.sys.exe'



E' la storia di uno che si sente solo, ma veramente solo. Così solo che fa amicizia con un personaggio di un videogioco che lo sfancula di continuo. Ad un certo punto, dopo l'ultimo aggiornamento del sistema operativo, entra in intimità con Windows XP. All'inizio è niente di che. Le solite frasi di circostanza. Apri pannello di controllo. Imposta stampante predefinita. Lei ,Windows, esegue comprensiva. Lo incoraggia, mettendo in evidenza le ultime applicazioni utilizzate. Da cosa nasce cosa e le interazioni si moltiplicano. Zippa, copia, salva e chiudi. Mai un problema, l'affinità cresce.

Poi una notte, mentre sono lì vicini, si lascia andare e deframmenta. Gli trema il dito quando lancia l'invio, è come se si toccassero. E' un crescendo. Le compra regali, un hard disk esterno, memoria RAM aggiuntiva. E poi un giorno decide per un modem nuovo, wifi dual band fino a 600Mbps.

Collega i cavi trepidante, non vede l'ora di vederla operativa con la nuova connessione. E invece, inaspettatamente, lei la prende male. “Periferica non trovata”, le risponde secca, ma sembra dirgli “perché non ti basto? Cosa cerchi su internet?”. Le fa due coccole per convincerla. Collega e scollega ripetutamente, carica un paio di driver. Le istalla anche un nuovo browser, quello all'ultima moda, sulla bocca di tutti i post degli amici nerd. Alla fine la convince. Sembra tutto superato.

Sembra. Perché poi ad un certo punto inizia a fare l'elusiva. “La memoria non doveva essere read”, gli dice di punto in bianco. Oppure gli si spegne e riavvia all'improvviso, proprio mentre salvava la versione definitiva del lavoro di giornata.

Ha paura di aver osato troppo. Cerca di cancellare qualche file. Magari recuperando memoria, la memoria dei bei tempi, tutto tornerà come prima. "Impossibile eliminare il file: il file è già in uso da altra applicazione”, gli risponde. Avrebbe dovuto iniziare a capire.

E invece niente. Depresso manda a monte un appuntamento galante che gli hanno procurato amici impietositi. Congeda velocemente la rossa del secondo piano che finalmente ha mollato il marito, temuto rompi cazzo di tutte le riunioni di condominio, e che lo guarda con la luce negli occhi da sempre. L'unico ossessivo pensiero è correre da Windy.

Poi un giorno, inaspettatamente, lei si nega. Definitivamente.
Quando accende il pc al mattino per darle il buongiorno con un 'sincronizza', si trova di fronte una schermata nera con sequenze di uno e zero alternati e intervallati dalla scritta 'virus' in rosso. Lei è andata, presa da un altro venuto da fuori.

Disperato incontra la vicina. Lei sente il suo dolore. Le si inumidiscono gli occhi e lo abbraccia. Lui non ricambia e fissa l'orizzonte dal terrazzo. Fissa il palazzo di fronte, perché non ha una gran vista.


Rimane solo. Se lo merita.

lunedì 17 marzo 2014

L'autobus per il nord



E' sera. Lo aspetti in un piazzale in periferia. Tra famiglie vocianti all'eccesso e le folate di vento gelido. Cerchi allora riparo sotto la pensilina del 54 barrato, poco più in là. Circondato da signorine poco vestite che ti fanno sentire tutti i tuoi anni, mentre infreddolito tiri su il bavero e giù il cappello di lana.

Quando arriva l'autobus, gli autisti veloci scendono e prendono posizione. Uno accanto al bagagliaio. L'altro, sulla porta, a scorrere ad alta voce la lista dei prenotati. Sono sempre due, uno ciccio e grosso, l'altro mingherlino e minuto. Parlano stretto, sincopato e aspirato. Sistemano tutti al posto assegnato secondo regole non dette, ma evidenti. Regole per le quali mai e poi mai ti capiterà di sederti di fianco ad una ragazza. Sarai sempre vicino a quello che hai notato sin dal primo minuto e che hai pregato di non avere al fianco. In genere di stazza grossa, con evidenti problemi respiratori per i quali russerà dal primo minuto all'ultimo e una certa allergia alla combinazione di idrogeno e ossigeno. Se può consolarti, ma non può, lui pensa esattamente lo stesso di te. Subito dopo la partenza parte il film. Generalmente l'ultimo successo di Natale, rigorosamente italiano. Possibilmente con attori romani che accompagnano con gesti battute urlate in dialetto. Ma una volta è stato peggio, c'era un film con Fabio Volo. All'autogrill cerchi fortuna con un gratta e vinci, ma l'ultimo lo compra il tuo vicino, quello grosso, e vince pure. Il resto non lo ricordi precisamente. Ci sono piccole gomitate per la conquista del territorio, ginocchiate al sedile davanti abbassato aggressivamente e starnuti che da quello posteriore ti travolgono con umido disagio. In questa guerra soccombi. Ad un certo punto crolli e quando ti risvegli è tardissimo. Ma non c'è problema. Tanto l'autobus ha due ore di ritardo.

Però è così solo se vuoi vederlo così. Se sei così ottuso da pretendere che tutto debba essere come tu hai stabilito che sia. Se non hai sufficiente immaginazione per cogliere il resto, ciò che conta.



Mentre aspetti sotto la pensilina il vento ti porta il profumo della campagna. Quando il vento si calma, invece, è l'odore pungente del mare che vince. Se chiudi gli occhi, puoi seguire un radiodramma con avvincenti storie familiari fatte di scontri aspri che sembrano definitivi,ma che hanno sempre il lieto fine di saluti affettuosi e caldi, quando l'autobus spunta all'incrocio. Se li segui con attenzione, ti accorgi di quanto efficienti siano gli autisti. In pochi minuti sistemano tutti, con i bagagli incastrati secondo il preciso ordine di discesa dei viaggiatori. Le ragazze sole nei posti davanti, per evitare moleste tentazioni. I gruppi divisi e sparpagliati lungo tutto il bus, perché non facciano rumorosa comunella. Gli altri viaggiatori accoppiati secondo la fermata di salita e di discesa, per ottimizzare i tempi di sistemazione e minimizzare i reciproci disagi. Il film che mandano non l'hai visto di sicuro e qualche volta, più spesso di quello che pensi, possono capitarti Solfrizzi o Neri Marcorè. Male che vada leggi con l'e-book reader. Quando mai l'avrai tutto questo tempo a tua disposizione? All'autogrill ci si ferma sempre nelle stazioni secondarie, quelle sul retro delle pompe principali, dove scopri una specie di bar per pochi, del quale non avresti mai sospettato l'esistenza. L'assortimento dei prodotti è ridotto all'essenziale, quello dell'umanità varia che lo frequenta, della quale ti senti parte con orgoglio, è variegato all'inverosimile. Tutti ti raccontano una storia. Torni in autobus prima del tempo perché ne sei sopraffatto. A volte capita che l'autobus non sia pieno. Quasi vergognandoti del privilegio ti appropri dello spazio del secondo sedile e trovi inaspettate e comode posizioni fetali. Al mattino ti svegli, circondato dai palazzi familiari della tua destinazione, e il primo pensiero è il rammarico che il traffico non abbia trattenuto l'autobus, per consentirti di riposare ancora.

Quando scendi il profumo del mare e della campagna resiste un altro po', prima di cedere il naso a quello dello smog.